La mia famiglia



I miei genitori


Buona parte dei ricordi della mia famiglia sono contenuti nei capitoli precedenti, naturalmente contestualmente all’epoca della mia “ragione”. Un vago flash riguarda la mia abitazione prima che fosse demolita e che traslocassimo in quella che poi accompagnò la nascita di mio fratello Carlo e la mia vita negli anni immediatamente successivi al 1945.

L’appartamento, che univa l’attuale negozio (allora latteria) di fronte alla fontana del Pozzo Bianco all’altro palazzo sul lato sinistro di via Porta Dipinta,  chiudeva un cortiletto su cui si affacciava un “ballatoio”, probabilmente, sopra il portone d’ingresso ma il ricordo è vago, .


Questo edificio fu abbattuto nel 1944 per il progetto, fortunatamente rimasto irrealizzato, di costruire una strada che collegasse via Porta Dipinta con il Viale delle Mura all’altezza di via Fara. L’opera, rimasta a metà, divenne per noi ragazzini la base dei “giochi sotto casa”.

Lasciai via Porta dipinta nel 1958 e ci trasferimmo in Città Bassa, in via Legionari di Polonia.


Mio padre


I miei genitori si sposarono il 6 febbraio 1937, mio padre, nato il 1° luglio 1907,  dopo un breve periodo di disoccupazione trovò lavoro alla Caproni di Ponte San Pietro e poco dopo alla Dalmine. Ricordo nell’episodio iniziale il tragico evento che lo coinvolse durante il bombardamento del 1944.

Era appassionato alla lettura prediligendo libri di azione e di avventura, tra i periodici leggeva “Il Mondo” diretto da Mario Pannunzio e “Selezione”, edizione italiana del Reader's Digest, passione che mi trasmise.

Così come mi trasmise quella della montagna con le lunghe passeggiate che insieme compiemmo durante le vacanze estive che la famiglia trascorreva a Cusio, in valle Brembana.

 

All’inizio degli anni ’50 acquistò uno scooter, la Lambretta 125. Fu il primo mezzo si locomozione della famiglia che non fosse una bicicletta. Quando compii sedici anni, mi permise di guidarla e spesso il sabato a mezzogiorno mi presentavo alla portineria dello Stabilimento per riportare mio padre a casa.

Quello stesso scooter fu il mio mezzo di locomozione, negli anni successivi, nelle escursioni in montagna, sia nelle vallate bergamasche sia sulle Alpi.

Ebbi un solo incidente: una domenica mattina scendendo da via Porta Dipinta con mio fratello sul sellino posteriore, investii una signora che improvvisamente, uscendo dal portone di casa, era scesa dal marciapiede invadendo la carreggiata.

Fortunatamente molto spavento ma nessun danno sia al mezzo sia alle persone coinvolte. Ne trassi lezione per essere maggiormente prudente nella guida.

 Un pomeriggio, accompagnandolo in una passeggiata in Città Bassa gli promisi che non appena avessi iniziato a lavorare avrei acquistato un’automobile per la famiglia. Mi sorrise e mi diede un buffetto in testa.

Diversi anni dopo mantenni la promessa, acquistai la “500” ma purtroppo a mio padre non fu possibile vederla: ci lasciò prima di compiere cinquant’anni il 19 giugno 1957, io non avevo ancora diciotto anni e mio fratello era dodicenne.


Mia  madre





Mia madre, nata  il 19 giugno 1911, da ragazza fu una “caterinetta”, imparò il mestiere della sarta, taglio e cucito, esperienza che fu molto utile alla famiglia negli anni successivi al matrimonio e, in special modo, in tempo di guerra. Alcune prestazioni equivalevano a ottenere quei generi alimentari che difficilmente il mercato offriva.

La ricordo spesso sul tavolo di cucina a tagliare le forme degli abiti e, poi, china sulla vecchia “Singer” a cucirli. Mi è rimasto impresso il gessetto che utilizzava per delimitare la sagomatura dell’abito: esagonale, piatto con un cerchietto metallico in centro. Io in un angolo del tavolo facevo i compiti di scuola.

 Gli abiti che indossavamo sia io che mio fratello erano tutti confezionati dalle sue abili mani, spesso utilizzando quelli dismessi da mio padre o acquistando scampoli di stoffa a buon mercato.
 Ebbe cinque gravidanze di cui due gemellari. I gemelli e una sorellina morirono dopo pochi mesi, ed io rimasi figlio unico in tempo di guerra sino al giugno del 1945, mese in cui nacque mio fratello Carlo.
 
Credo che le traversie dei bimbi scomparsi in tenerissima età, e la preoccupazione di perdere anche l’unico rimasto durante il periodo bellico, abbia influito moltissimo sul suo carattere e accentuato il suo senso di protezione nei miei confronti in quel periodo. Fortunatamente con la nascita di Carlo rivolse a lui buona parte dell’affetto con un vago senso di gelosia da parte mia.

 Negli anni successivi il compito di proteggere mio fratello, specialmente nei giochi e nelle baruffe tra ragazzini, passò al sottoscritto.

Ci lasciò, ormai adulti e coniugati, nel settembre del 1988.



Mio fratello Carlo
Ho dedicato a te questi ricordi, forse non menzioneranno specificatamente episodi particolari della nostra infanzia, anche se alcuni sono contenuti nei vari capitoli della narrazione.

Potrei solo aggiungere nuovamente che sei nato nel giugno del 1945 e, uno dei tuoi nomi lo certifica, a poche settimane dalla “Liberazione”. Sei quindi il simbolo della nuova Italia, libera, democratica, con un futuro che, allora, pareva difficile ma raggiungibile. Sei stato la dimostrazione del nuovo corso che, superata l’autarchia, si apriva alla modernità e al benessere.

Potrei aggiungere ai miei ricordi episodi come le dispute tra ragazzini nei giochi domestici, le prevaricazioni, lo ammetto, che io da fratello maggiore di ben sei anni, ho esercitato nei tuoi confronti.

Potrei ricordare i litigi durante i giochi con i soldatini. Io avevo i cowboy, tu i pellerossa e, secondo i miti di allora, i primi vincevano sempre sui secondi. Tu questo non lo accettavi ed io non conoscevo ancora ciò che la “Storia”, in seguito, mi avrebbe insegnato.

Forse anche ricordare i “match” di box, con guantoni improvvisati, nei quali avevi sempre la peggio. Bella fatica si potrebbe dire considerata la differenza d’età, ma per i ragazzini questo non contava, era un gioco come tanti altri.

Potrei ancora ricordare quello schiaffo che ti affibbiai la sera che tornasti tardi a casa con la mamma preoccupata per il tuo ritardo non preavvisato.
Oggi non lo rifarei e ti chiedo ancora scusa.

Tuo fratello Alberto



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