Città Alta

La Città vecchia

Per i residenti, che allora in pratica coincidevano con i “nativi”, Città Alta era la vera città. Questo “status” ci rendeva orgogliosi e consideravamo gli abitanti della città bassa come dei “parvenu”. Conseguentemente mentre i rapporti tra noi ragazzi di città alta erano molto stretti e solidali, non altrettanto si poteva affermare con i ragazzi dei “borghi”.
Ancora oggi toponomasticamente la città bassa si ”divide” in borghi: Borgo Santa Caterina, Borgo Palazzo, Borgo San Leonardo, ecc., ricostruendo così le denominazioni dei luoghi di un territorio in una data epoca storica.
La vita sociale ed economica della città vecchia si svolgeva lungo la via che partendo da Piazza del Mercato delle scarpe (arrivo della stazione superiore della funicolare)  termina di fronte all’ingresso della Cittadella: la prima parte chiamata via Gombito


Via Gombito e l’interno della Cittadella (foto archivio Sestini.)
la seconda, da Piazza Vecchia in poi, via Bartolomeo Colleoni. Comunemente chiamata in tutta la sua lunghezza, dai vecchi residenti,  la “Corsaröla”.

I negozi, per la maggior parte a conduzione familiare, si susseguivano ininterrottamente; panetterie, salumerie, macellerie, fruttivendoli, caffetterie, osterie, cartolerie, tabaccherie, drogherie, farmacie, abbigliamento, tutte le specie commerciali erano rappresentate. Esisteva persino un “carbonaio” il quale essendo molto conosciuto, divenne Consigliere Comunale e si riconfermò per molti anni. Era chiamato “ol sindech de sità olta”. Apriva la “parata” la panetteria del Nessi, all’angolo di via Rocca e si chiudeva con la trattoria del Giardinetto (oggi ristorante Bernabè) all’angolo di Piazza Mascheroni.
Al lato destro del “Nessi” s’imboccava via Rocca, una ripida stradina che terminava sul piazzale del mastio bergamasco. Altra meta della domenica la visita al Parco della rimembranza con i cippi che commemoravano i caduti nelle due guerre mondiali e poi al Museo del Risorgimento che ospitava, tra divise e armi del Risorgimento, l’aereo di Antonio Locatelli.
La Rocca  (foto archivio Sestini.)
A metà della “Corsaröla”, si apre Piazza Vecchia con le due meravigliose facciate che si guardano: quella della Biblioteca Maj e, all’estremità opposta, quella del Palazzo della Ragione accanto alla torre del “Campanone”.
Percorrendo al mattino questa via era una sinfonia di profumi che uscivano dalle porte aperte dei negozi; profumo di pane fresco, di prosciutto cotto, di mortadella, profumo di chiodi di garofano e di cannella, una gratuita ubriacatura di aromi che faceva salire l’acquolina in bocca. Accanto al Caffè Donizetti, sotto un porticato, c’era la bancarella del formaggiaio con le mezze forme di grana esposte in bella mostra.
Non esistevano supermercati, il negozio di quartiere era il punto di riferimento per tutte le famiglie che spesso acquistavano sulla fiducia utilizzando il “libretto”, con la copertina color carta da zucchero, per scrivere giornalmente l’ammontare degli acquisti fatti. Il pagamento avveniva a fine mese con la riscossione dello stipendio paterno. Un particolare rapporto di “attrazione” l’avevo per la “conserva” che normalmente acquistavo ma che a casa ne tornava gran poca. Il salumiere la toglieva da un grosso barattolo metallico e la pesava su piccoli fogli di carta oleata che poi arrotolava sui lati. Uscito dal negozio la prima cosa che facevo era d’intingere il dito nel cartoccio e gustarmi quel delizioso concentrato di pomodoro.
In via Porta Dipinta, dove abitavo, i negozi erano pochi, una latteria (di mia nonna) un salumiere che rivendeva pane e tabacchi, un fruttivendolo. Per tutto il resto era d’uopo risalire la via e rifornirsi nei negozi della “Corsaröla”.
Via Porta Dipinta  (foto archivio Sestini.)

E su questa via incontravi anche dei singolari personaggi: la pisuna, la cavrera, ol barbù, ol siamo ricchi e poveri, persone innocue, senza famiglia che alloggiavano in vecchi tuguri demoliti alla fine degli anni ’50 con le ristrutturazioni edilizie avviate dall’Amministrazione Comunale nelle ultime fasi del Piano Angelini.

Via Solata e San Lorenzo  (foto archivio Sestini.)

L’anello delle Mura venete ospitò dal 1946 al 1950 gare di motociclismo alle quali parteciparono grandi campioni nazionali e internazionali: Tenni, Liberati, Lorenzetti e Balzarotti, su moto Guzzi, Milani e Pagani, su moto Gilera, Ubiali su Moto MV Agusta e Masserini che in anteprima corse con una Lambretta adattata.
Il giorno della gara tutti gli accessi al viale erano sigillati con pareti di legno, l’ingresso a pagamento, la comunicazione con la città bassa assicurata da due passerelle pedonali sulle quali era proibito sostare.  Prima che scattasse l’ora della chiusura, noi ragazzini, con un panino e una manciata di ciliege in un sacchetto, ci si nascondeva lungo il circuito o si chiedeva ospitalità nelle case che si affacciavano sul viale delle mura. A gara iniziata si usciva dai nascondigli e si assisteva tranquillamente a tutta la gara.
Viale delle Mura  (foto archivio Sestini.)

In quegli anni anche il Giro d’Italia transitò sul viale delle Mura, erano gli anni del dopoguerra con l’Italia che usufruiva del "Piano Marshall", aiuti presenti con l’istituzione dell’l'ERP – European Recovery Program.
Dalla carovana del Giro venivano lanciati i volantini unitamente ad un opuscolo a fumetti che, parodiando il libro di Orwell, “La fattoria degli animali”, descriveva la storia del totalitarismo sovietico nel periodo staliniano. Le elezioni erano imminenti e anche il Giro d’Italia non era immune dalla propaganda politica dei vari  partiti. All’opposto in quegli anni, sullo spalto dell’acquedotto, “la balera”,  si svolgeva la “Festa dell’Unità”, ghiotta occasione per noi ragazzi di assistere a film di guerra d’immancabile produzione sovietica, proiettati alla sera.
Città alta era una “miniera” di curiosità. La domenica mattina molto spesso ci si trovava in Piazza Vecchia nel Museo di Scienze Naturali ad ammirare le teche che conservavano insetti, farfalle o animali esotici. All’ingresso faceva bella mostra la ricostruzione di un Mammoth e, proseguendo quella di altri animali preistorici. La visita alla sala delle farfalle era lasciata come clou finale del percorso.
Piazza Vecchia Ingresso ex sede Museo di Scienze Naturali  (foto archivio Sestini.)

Altro “divertimento” era quello delle incursioni, non certamente apprezzate dai proprietari, nelle ortaglie alla base delle mura venete sul versante sud. Obiettivo, non senza rischi, gli alberi da frutto, ciliegie, pesche, albicocche e prugne, In autunno, prima che iniziassero le scuole, anche i vigneti.

Ricordo un episodio in particolare: ero entrato, con altri amici, in un’ortaglia con bellissimi e carichi alberi di prugne. Dopo aver soddisfatto l’immediata golosità decisi di portane a casa e, non avendo recipienti per metterle, le infilai tra la camicia e la canottiera. All’improvviso comparve il contadino che urlando e minacciando legnate c’inseguì. Scappammo velocemente, superando la recinzione e correndo velocemente per allontanarci. Quando finalmente ritenni di aver raggiunto la “sicurezza” mi accorsi della strana sensazione di umido che mi avvolgeva la pancia: era l’immangiabile “marmellata di prugne” che tracimava da tutte le parti. L’ovvia conclusione dell’ingloriosa spedizione sarebbe stata la punizione materna a suon di scapaccioni.[i]




[i] Le fotografie sono tratte dall’archivio Sestini  (http://alessandra-creativefamily.blogspot.it/2010/04/vecchie-immagini-della-bergamo-che-fu.html