Il nonno Ettore

Il nonno Ettore
 
Nonno Ettore, nato nel 1882 a Capizzone, Valle Imagna,  mitica figura della mia fanciullezza, aveva gli occhi azzurri e la capigliatura bianca. L'ho sempre ricordato così, mai giovane e mai vecchio.
Il suo cognome, Capelli, denunciava chiaramente la sua origine valdimagnina.
Non era molto alto, in compenso aveva un bel pancione, non grosso ma ben arrotondato e ciò nonostante faceva delle bellissime passeggiate alle quali spesso mi aggregavo.
Fumava la pipa,  masticava il toscano e non passava un pomeriggio senza la partitina di carte con un buon quartino di vino accanto. Alcune volte i "quartini" si susseguivano e il ritorno a casa era vacillante. Non ho mai visto mia nonna rimproverarlo; lo aiutava a svestirsi e lo accompagnava a letto. Non succedeva spesso e solo in occasioni  eccezionali. Giocava a scopa in coppia con il suo amico Pasquale, familiarmente chiamato "Paca"; che perdesse o vincesse non l'ho mai sentito imprecare.
Da giovane, nonno Ettore, era stato capotreno sul "Tram del latte", una tramvia che collegava Bergamo con Soresina e che raccoglieva, al ritorno, i bidoni del latte che le cascine della Bassa preparavano nelle stazioncine disseminate nella pianura. Proprio perché impiegato in un'industria strategica, era stato esentato dal servizio militare evitando di partecipare alla prima Guerra Mondiale.
Successivamente acquistò un'osteria in via Porta Dipinta, trasformata oggi in ristorante birreria, Pozzo Bianco, dove per diversi anni sua moglie, nonna Adele, nata pure lei nel 1882 proveniente  da Polesella, provincia di Rovigo,  serviva ai clienti dell'ottimo vino, A tal proposito, anni dopo, ricordo quando ormai adolescente rinvenni nella cantina della nostra abitazione una vecchia bottiglia polverosa ancora sigillata. Quando l'aprimmo e assaggiammo il contenuto mio padre si mostrò molto meravigliato per la splendida conservazione e per il gustoso nettare di Bacco.
 
 
Tornando a nonno Ettore, dopo l'esperienza enologica passò decisamente sul versante opposto: acquistò una latteria e la gestì sino agli anni '50. In negozio, oltre mia nonna, si avvicendava anche mia zia, specialmente negli orari pomeridiani. Al mattino passava il camion del latte, scaricava i bidoni che venivano travasati in una vasca di lamiera zincata e raccoglieva quelli vuoti del giorno precedente. Successivamente subentrò in negozio la figlia Linda.
 
Qualche volta osservavo il nonno, e qui la sua origine faceva capolino, schiumare il latte contenuto nella vasca, metterlo in un fiasco e agitarlo a dovere al fine di farlo diventare burro. Non ne otteneva granché ma sufficiente per la modesta quantità che mia nonna consumava in cucina.
Oltre al latte vendeva caramelle e dolciumi e ricordo le scatole di latta che servivano solo per il  recapito da parte dei fornitori. Il contenuto veniva versato in vasi di vetro trasparente e facevano bella mostra sugli scaffali, mentre i contenitori erano accumulati nel retro del negozio.
E proprio la latta di questi contenitori fornì il materiale per rendere veloce lo slittino che mio nonno costruì e inchiodandola  sui pattini di legno. Quello slittino durò un solo inverno ma mi permise di battere in velocità gli altri amici che utilizzavano slittini meno artigianali.
Le sue mete pomeridiane erano circoscritte a Città Alta, Castegneta, o la zona dei Torni, come la trattoria Rapizza fuori le mura di Colle Aperto. In primavera inoltrata erano di consuetudine, due gite fuori porta: una a San Rocco, sopra Torre Boldone che veniva raggiunto dapprima con il famoso "Tram rosso" che collegava Bergamo ad Albino, e successivamente con una camminata di circa mezz'ora dalla fermata del tram alla trattoria ai piedi della Maresana
La seconda gita era più lunga e faticosa. Si partiva da Città Alta a piedi e attraverso il Monterosso si saliva in Maresana sino alla chiesetta e poi, ormai abbastanza in quota, si raggiungeva la Croce dei Morti dove si trovava una trattoria circondata da un bellissimo bosco che rinfrescava l'ambiente. Si faceva "merenda" sui tavolini all'aperto e, mentre il nonno iniziava le sue partite a carte con altri avventori, io gironzolavo nel bosco circostante o scendevo nella cantina, accessibile dal retro della trattoria, per scolarmi " a sbafo" una bottiglietta di gassosa. In queste peripezia furtive ero accompagnato da un amichetto che abitava poco distante dal mio appartamento in Città Alta.
Il nonno era una persona di poche parole, burbero nei modi ma sempre ben disposto verso i nipoti che abitavano nei vari appartamenti di cui era composto l'edificio dove risiedevamo in via Porta Dipinta, di fronte alla chiesa del Pozzo Bianco. Bastava il suo sguardo per calmare eccessi di dispute o di capricci.
Ero il nipote maggiore e per lunghi anni l'unico della famiglia per cui ebbi, probabilmente, maggiori attenzioni da parte sua rispetto agli altri che mi seguirono nel dopoguerra.
Festeggiò il cinquantesimo del suo matrimonio in un ristorante di Città Alta, oggi chiamato "Il Gourmet", attorniato da parenti e amici; conservo una bella fotografia di quell'avvenimento.
 
Ebbi la fortuna di averlo presente, accompagnato da nonna Adele, al mio matrimonio; pochi anni dopo se ne andò e mia nonna sopravvisse pochi anni dopo la sua scomparsa. Era una bella coppia.

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