La Lambretta


Nel primo quinquennio degli anni ’50 furoreggiavano gli scooter. Vespe e Lambrette erano le più diffuse e nelle domeniche estive non era difficile incontrare famigliole, padre, madre e un bimbo in piedi davanti al guidatore, correre sulle strade che portavano ai lagni o nelle vallate. 

Tra i possessori di ciascuna marca era frequente ascoltare discussioni sui pregi, dei propri, e difetti, degli altrui scooter, anche se la rivalità si limitava a livello di tifo. In ogni campo la tifoseria si divideva in “fazioni”: Bartali – Coppi, Guzzi – Gilera, Vespa – Lambretta.

La Lambretta "carenata" di mio zio Cesare

La mia famiglia, parenti compresi, era schierata fieramente per la Lambretta ed enorme fu la mia soddisfazione quando il babbo decise di acquistarla. Modello a “scatole sovrapposte”, color verdino, non carenata, tre marce, cilindrata 125 cc.  Era il “progresso” del dopoguerra e anticipava quello degli anni successivi con il vertiginoso aumento delle automobili, le 600 e le 500.

La “Lambretta” era l’evasione domenicale, l’indipendenza dai trasporti pubblici e dagli orari, quel senso di libertà individuale dopo anni di sacrifici e d’imposizioni.

La mia Lambretta

Un giorno, mio padre, m’invitò a provare la velocità dello scooter. Ci dirigemmo verso l’aeroporto militare di Orio e da una stradina laterale, tramite uno squarcio della rete metallica che lo racchiudeva, arrivammo sulla vecchia pista in cemento.

Incurante dei guai che potevano capitarci nel caso i militari si fossero accorti della nostra intromissione, lanciammo la Lambretta a tutto gas. Fortunatamente il fondo della pista era ancora in buone condizioni e nessuno ci avvistò. Fu una corsa folle e raggiungemmo la mitica velocità dei cento chilometri l’ora.

Confesso che provai paura ma non lo diedi a vedere. La corsa finì senza alcun incidente e tornammo a casa promettendoci, io e il babbo, di non dire niente a mamma: doveva rimanere un nostro segreto.
Diversi anni dopo, scomparso il babbo, la mitica Lambretta diventò il mio mezzo motorizzato. La utilizzavo solo il sabato e la domenica e quando riuscivo a raggranellare qualche soldo per mettere il carburante nel serbatoio.

Una domenica mattina, con mio fratello Carlo seduto sul seggiolino posteriore, scendevamo lungo via Porta Dipinta, provenienti da Piazza Vecchia, quando, poco prima della Chiesa Parrocchiale, dove la sede stradale si restringe, da un portone uscì un gruppo di persone.

Una signora anziana, anziché mettersi in fila sul marciapiede, si spostò verso il centro della strada: inevitabile la collisione. Anche se l’andatura dello scooter era molto bassa, non feci in tempo a evitarla e rotolammo per terra, io, mio fratello e la signora in questione.

Grazie alla bassa velocità i danni materiali furono minimi, qualche escoriazione da parte nostra, mentre per l’investita, data l’età, la situazione sembrava più seria. Dopo i primi attimi di paura e di preoccupazione per il suo stato di salute, la vidi rialzarsi, seppure aiutata dai presenti, senza apparenti danni esteriori.

Seppi, in seguito, e dopo un paio di giorni di allettamento più per la paura che per le lesioni procurate dalla caduta, anche le sue condizioni fisiche erano tornate normali, con un gran sollievo mio e di mia madre.


Tenni quella Lambretta ancora un paio di anni poi la sostituii con una pari marca ma di cilindrata superiore (150 cc) e “carenata”.

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